Pastorale Scolastica

Diocesi di Piacenza-Bobbio

Il santo viaggio… Novembre 2017

Dare un nome alle cose assenti
Nell’uomo c’è una facoltà meravigliosa che lo rende “complice di Dio” nell’avvistare un mondo nuovo: l’immaginazione. Grazie alla fantasia noi anticipiamo il futuro, lo visitiamo, lo frequentiamo già. In sostegno alla speranza l’immaginazione non accetta il verdetto inesorabile dei fatti, rifiuta di accogliere passivamente le cose così come sono. L’uomo osserva, certo, ciò che esiste, ma al tempo stesso intuisce che mancano all’appello altre cose che ci dovrebbero essere. E proprio qui si riconosce l’uomo della speranza: non si limita all’inventario di ciò che ha sotto gli occhi, ma chiama, dà un nome alle cose assenti.
Mi basti tu
Dove sei Signore? In un mondo così tormentato, agitato da mille complicazioni, come trovarti senza che la mia preghiera risenta della complessità della vita? Non voglio tensioni, né ansie, né pigrizie, né scoraggiamenti: voglio te. Mi basti tu Signore. Ho bisogno di abbeverarmi alla tua trasparenza. Ho una sola cosa da fare: ascoltarti. Ascoltare sapendo che mi stai dicendo il tuo amore. E risponderti. Lasciare penetrare nella mia vita la tua parola operante, a volte travolgente, a volte leggera e soave come la brezza della sera. E risponderti con il silenzioso amarti, che mi spalanca alla tua carità.
Il primo fiore
In un paesino di montagna c’era un’usanza molto bella. Una gara tra tutti gli abitanti. Chi avesse trovato il primo fiore della primavera avrebbe avuto buona fortuna tutto l’anno. Quella volta per ore cercarono in alto e in basso, e mentre molti abbandonavano la ricerca si udì un grido: “E’ qui! L’ho trovato!”. Era la voce di un bambino. Il primo fiore, però, era sbocciato tra le rocce, qualche metro sotto il ciglio di un terribile dirupo. Tutti lo volevano aiutare. Cinque uomini forti portarono una corda, ma il bambino piangeva spaventato. Gli fecero vedere una corda più grande e quindici uomini si offrirono di tenerla, ma il bambino piangeva. Ad un tratto smise di piangere. Tutti fecero silenzio per sentire che cosa il bambino avrebbe detto. “Va bene, disse. Andrò giù. Andrò giù se mio padre terrà la corda!”
Ti fidi così tanto di Dio?
La domenica mattina
Il signor Cesare era molto abitudinario. Ogni domenica si alzava tardi e alle 11 si tagliava la barba, lasciando aperta la porta del bagno. Quello era il momento atteso da Francesco, che aveva solo sei anni, mostrava già un’inclinazione per la medicina. Francesco prendeva il pacchetto del cotone, la bottiglietta del disinfettante, la busta dei cerotti, entrava in bagno e si sedeva sullo sgabello ad aspettare. “Che c’è?”, chiedeva il signor Cesare. “Be’, diceva Francesco, può darsi che ti tagli; e io ti farò la medicazione”. “Già”, diceva il signor Cesare. “ma non tagliarti apposta come domenica scorsa”, diceva Francesco, severamente, “altrimenti non vale”. Al signor Cesare non riusciva di tagliarsi senza farlo apposta. Tentava di sbagliare, di essere disattento e prima o poi il taglietto arrivava. Così Francesco poteva entrare in azione. Asciugava la goccia di sangue, disinfettava e attaccava il cerotto. Così ogni domenica il signor Cesare regalava una goccia di sangue a suo figlio, e Francesco era sempre più convinto di avere un padre distratto. A chi doni una goccia del tuo sangue?

Oggi, come sempre, Cristo è presente nei poveri che nessuno ama, che sono privi di lavoro, di assistenza, che non hanno né vestito né casa; in questi poveri, che si arriva a considerare un peso per la società e lo Stato. Nessuno ha tempo per loro. Siamo io e voi, in quanto cristiani degni dell’amore di Cristo, se il nostro amore è autentico, che dobbiamo cercarli e offrire loro il nostro aiuto. Essi attendono che noi si vada loro incontro (Madre Teresa di Calcutta)