Preghiera per le famiglie in difficoltà
Maria, Madre dolcissima e Mamma nostra,
ti voglio presentare tutte quelle famiglie
che vivono momenti di difficoltà e di crisi.
Mamma cara,
hanno bisogno della tua serenità
per potersi comprendere,
della tua tranquillità per poter dialogare,
del tuo amore per consolidare il loro
e della tua forza per ripartire.
I loro cuori sono stanchi
e distrutti dalle situazioni quotidiane,
ma davanti al tuo Figlio avevano detto:
“Sì, nella buona e cattiva sorte, in salute e malattia”.
Dona l’eco di quelle parole, accendi la luce ormai spenta
per ridonare il giusto equilibrio a questa tua famiglia.
Regina delle famiglie, li affido a te.
La scelta del chicco di frumento
Un chicco di frumento si nascose nel granaio.
Non voleva essere seminato.
Non voleva morire.
Non voleva essere sacrificato.
Voleva salvare la propria vita.
Non gliene importava niente di diventare pane.
Né di essere portato a tavola.
Né di essere benedetto e condiviso.
Non avrebbe mai donato vita.
Non avrebbe mai donato gioia.
Un giorno arrivò il contadino.
Con la polvere del granaio spazzò via anche il chicco di frumento.
Il primo giorno di scuola
Suona la campanella
scopa scopa la bidella,
viene il bidello ad aprire il portone,
viene il maestro dalla stazione
viene la mamma, o scolaretto,
a tirarti giù dal letto…
Viene il sole nella stanza:
su, è finita la vacanza.
Metti la penna nell’astuccio,
l’assorbente nel quadernuccio,
fa la punta alla matita
e corri a scrivere la tua vita.
Scrivi bene, senza fretta
ogni giorno una paginetta.
Scrivi parole diritte e chiare:
Amore, lottare, lavorare. (Gianni Rodari)
Perché questo foglio
Questo sussidio, che l’Ufficio Diocesano di Pastorale Scolastica predisporrà ogni mese, per la durata dell’intero anno scolastico, vuole essere un’occasione rivolta ai cristiani che operano nella scuola, per fermarsi un poco, per sostare, e raccogliere la propria vita e il proprio agire intorno a Gesù Cristo, che li motiva e dona loro senso. Leggere e meditare queste semplici righe può inoltre farci sentire più Chiesa, perché consapevoli che altri, in tutte le scuole della Diocesi, cercano di vivere con coraggio e passione, pur tra mille difficoltà, la loro fede.
Il direttore dell’Ufficio Diocesano di Pastorale Scolastica (G. Marchioni)
Il valore della preghiera
Il Santo Curato d’Ars incontrava spesso, in Chiesa, un semplice contadino della sua Parrocchia.
Inginocchiato davanti al Tabernacolo, il brav’uomo rimaneva per ore immobile, senza muovere le labbra.
Un giorno, il Parroco gli chiese:
“Cosa fai qui così a lungo?”.
“Semplicissimo. Egli guarda me ed io guardo Lui”.
Puoi andare al tabernacolo così come sei. Con il tuo carico di paure, incertezze, distrazioni, confusione, speranze e tradimenti. Avrai una risposta straordinaria: «Io sono qui!».
«Che ne sarà di me, dal momento che tutto è così incerto?». «Io sono qui!».
«Non so cosa rispondere, come reagire, come decidermi nella situazione difficile che mi attende». «Io sono qui!».
«La strada è così lunga, io sono così piccolo e stanco e solo…». «Io sono qui!».
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“Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26).
Queste parole di Gesù indicano l’azione dello Spirito che nobilita l’agire dell’uomo, perché gli svela l’orizzonte in cui è collocato, gli offre le coordinate che lo orientano, gli dona la forza per essere coerente. Essere guidati dallo Spirito significa lasciarsi prendere la mano da Dio che solleva noi, piccoli uomini incapaci di raggiungerlo, fino alla “sua guancia” (Os 11,4): non solo perché possiamo vedere e comprendere di più dalla sua altezza, ma anche perché sperimentiamo, con il cuore, fino a che punto egli ci ama. Dunque non siamo naturalmente cristiani perché Dio assomiglia a noi, il suo spirito alla nostra anima, il suo amore al nostro; ma perché noi abbiamo la possibilità di assomigliare a lui, di entrare in comunione con lui, di dargli del “tu”. Questo fa ti te lo Spirito: ti ruba a te stesso, perché tu non viva più per i tuoi progetti, ma per il Cristo. E la tua parte consiste nel non opporti, nel lasciarti invadere, aperto all’azione divina dall’umiltà, nella quale le cose acquistano ciascuna la propria voce, il proprio posto, in un’armonia dimenticata o nascosta dall’io, quando si irrigidisce e non accetta di riconoscersi un niente.
Saper gustare la vita Per vedere bisogna guardare; per sentire occorre ascoltare; per amare è necessario riconoscere il vuoto dell’altro e riempirlo con il dono di sé. Dio ti ha amato a tal punto da farsi carne per te, a tal punto da morire, per te. Lasciati inebriare dal suo amore, ed esprimilo attimo per attimo nella tua quotidianità. La tua esistenza sarà nuova, ti sorprenderà, perché ne gusterai la pregnanza, la pienezza, la profondità. Perché la vita è come una bottiglia: molti ne leggono solo l’etichetta, pochi s’inebriano del contenuto…
Il filo di cotone C’era una volta un filo di cotone che si sentiva inutile. «Sono troppo debole per fare una corda» si lamentava. «E sono troppo corto per fare una maglietta. Sono troppo sgraziato per un Aquilone e non servo neppure per un ricamo da quattro soldi. Sono scolorito e ho le doppie punte… Ah, se fossi un filo d’oro, ornerei una stola, starei sulle spalle di un prelato! Non servo proprio a niente. Sono un fallito! Nessuno ha bisogno di me. Non piaccio a nessuno, neanche a me stesso!». Si raggomitolava sulla sua poltrona, ascoltava musica triste e se ne stava sempre solo. Lo udì un giorno un mucchietto di cera e gli disse: «Non ti abbattere in questo modo, piccolo filo di cotone. Ho un’idea: facciamo qualcosa noi due, insieme! Certo non possiamo diventare un cero da altare o da salotto: tu sei troppo corto e io sono una quantità troppo scarsa. Possiamo diventare un lumino, e donare un po’ di calore e un po’ di luce. È meglio illuminare e scaldare un po’ piuttosto che stare nel buio a brontolare». Il filo di cotone accettò di buon grado. Unito alla cera, divenne un lumino, brillò nell’oscurità ed emanò calore. E fu felice.
La gioia “La gioia è la più bella creatura uscita dalle mani di Dio dopo l’amore” (San Giovanni Bosco). Sei triste, spento? Offri a Dio le tue difficoltà e tuffati nell’amore. Saluta quel tuo vicino antipatico, ascolta tua madre che vuole chiacchierare con te, gioca alle bambole con la sorellina, sorridi, sorridi… La gioia fiorisce nel dono, ma il dono richiede la morte di sé. Come un seme muore per dare la vita al fiore, così la gioia è il fiore aperto dell’amore, è il sorriso dell’amore sul mondo.
La strada per Dio Molti eremiti abitavano nei dintorni della sorgente. Ognuno di loro si era costruito la propria capanna e passava le giornate in profondo silenzio, meditando e pregando. Ognuno, raccolto in se stesso, invocava la presenza di Dio.
Dio avrebbe voluto andare a trovarli, ma non riusciva a trovare la strada. Tutto quello che vedeva erano puntini lontani tra loro nella vastità del deserto. Poi, un giorno, per una improvvisa necessità, uno degli eremiti si recò da un altro. Sul terreno rimase una piccola traccia di quel cammino. Poco tempo dopo, l’altro eremita ricambiò la visita e quella traccia si fece più profonda. Anche gli altri eremiti incominciarono a scambiarsi visite. La cosa accadde sempre più frequentemente. Finché, un giorno, Dio, sempre invocato dai buoni eremiti, si affacciò dall’alto e vide che vi era una ragnatela di sentieri che univano tra di loro le capanne degli eremiti. Tutto felice, Dio disse: “Adesso si! Adesso ho la strada per andarli a trovare”.
Ma com’è difficile tracciare uno di quei sentierini.
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Un amore incondizionato Il venire al mondo, oggi, sembra essere più difficile che in altri tempi perché pare che lo si debba meritare. Spesso, i figli credono di appartenere alla famiglia per aver meritato l’amore dei genitori, con la loro obbedienza, con le loro prestazioni scolastiche o sportive. Ma quel figlio non sperimenterà mai l’amore dei genitori come amore incondizionato. Dio non ti ama per le tue prestazioni, ma perché sei suo figlio. Ti ama perché sei tu, unico e irripetibile nella storia del mondo. Per Dio sei il capolavoro della creazione…
Le norme del buon maestro
Un manuale di didattica sostiene che il buon maestro ha le seguenti caratteristiche:
- Contegno benevolo ma fermo
- Linea di condotta chiara
- Coerenza
- Giustizia
- Non fa confusione tra il profitto e la condotta.
- Controllo di sé
- Contegno esterno decoroso
- Parco nel parlare
- Dotato di senso dell’umorismo(da M.Casotti, Didattica)
L’insegnante cristiano è anche…
- Armato di pazienza e della convinzione che ogni alunno è uno studente da istruire, un ragazzo da educare, una persona da amare, poiché in lui risplende l’immagine e la somiglianza di Dio.
Per questo la passione educativa arreda il maestro cristiano e lo spinge ad intessere un rapporto intenso con ciascuno dei suoi alunni.
Di lui non si leggerà sui diari: “Non gettate i professori dalla finestra: usate l’apposito cestino”.
Emmaus, un pane spezzato
Tu sei rimasto, Signore, e quella sera è cambiata in un nuovo mattino.
Perché non ti ho riconosciuto, Signore, prima che tu sparissi ai miei occhi, quando camminavi accanto a me?
Ti cercavo dove non eri: nella reggia del potere, sulla poltrona della cultura, sulle barricate delle rivoluzioni, nei sofismi dei salotti d’avanguardia, sulle creste dell’onda quotidiana, sulle strade della gloria e del trionfo.
Invece eri lì, a due passi da me, seduto alla stessa tavola, vestito come me.
Eri lì, accanto a me, nella stanza del mio tramonto, nel gesto banale e quotidiano di una piccola gioia donata, nel segno di un pane che è spezzato per essere donato.
L’utopia della risurrezione che attendevo ora so che ha un nome: si chiama amore.
Il resto, Signore, tutto il resto non è che menzogna.
Per amare vale la pena vivere.
Per amare vale la pena soffrire.
Ed ora, Signore, ai crocicchi delle strade e delle piazze, agli uomini che incontro e alle stelle che ammiro, agli animali che custodisco e alle piante che coltivo, ai venti e alle tempeste, al sole e alla luna, grido e canto alleluia, alleluia, il mio Signore è veramente risorto!
Tu sei il rischio di Dio… L’amore che vuole salvare se stesso non ha domani, esclude l’altro, separa, chiude le porte al quotidiano, si perde nel sogno. Non ha posto per un figlio. Il figlio costringe l’amore ad aprirsi. Come una candela si consuma donando luce, così l’amore dei genitori non alimenta se stesso, ma genera la vita, si apre alla speranza, abbraccia l’eternità, sfida l’incognita del futuro. E’ proprio così, anche per Dio. Per questo tu sei la speranza, la promessa, il rischio dell’amore di Dio
La fontana della Pasqua
Nella mia giornata piena, Signore, non ti ho mai cercato, non ti ho mai pensato, non ti ho mai parlato.
Mille cose dai colori diversi, mille voci dai toni suasivi e accalorati, mille cvolti con altrettante storie nascoste e pesanti, mi hanno catturato e interessato…
Tutto e tutti mi hanno rubato qualcosa, riducendomi a poco a poco, sfinito e snervato, come a larva d’uomo.
Con parole sommesse, con voce appena percettibile, faccia a faccia con la terra che sa di amaro, grido il mio lamento, o Signore, come un giorno hai fatto anche tu.
E tu, Signore, mi hai ascoltato, mi hai guardato e vicino a me sei venuto, e mi hai portato nella grande stanza del tuo cuore, sì che potessi riprendere il mio volto d’uomo che avevo nascosto sotto la coltre pesante della mia interiore stanchezza.
Con mano paziente e delicata hai ricostruito in me il tessuto che si era consunto, hai fatto riscaturire in me la fontana della Pasqua perché chi cerca te in me non resti deluso e amareggiato, ma beva e si rinfranchi e, risorgendo, cammini e sia felice.
(A.Dini, Preghiera vestita, EDB, Bologna)
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Buona strada!
Come chi ha il cuore rattrappito giudica pazzo il comportamento degli innamorati, così chi non sa ascoltare la volontà divina valuta folle l’agire dei santi. Ascolta il richiamo di Dio, seguilo, perché è composto per te. Sviluppa l’armonia della tua vita sullo spartito che lui ti consegna e piano piano individuerai la tua strada. Se sbagli, ricomincia, non abbatterti: Dio ti tende la mano, ti ama così come sei. Del resto nessuno è perfetto. Ad un maestro che aveva chiesto: “Se tutte le persone buone fossero bianche e quelle cattive nere, tu di che colore saresti?”, una bambina rispose: “Io sarei a strisce!”.
Colui che mi fa grande
In questa mia stagione, Signore, ci sono tante ombre che calano nel cuore tanti sbalzi di colore sul mio volto come se la terra tremasse sotto i piedi. In questa mia stagione, o Signore, ascolto tanti messaggi differenti, tante voci aperte all’avventura tante esche da abboccare. In questa mia stagione, o Signore, voglio aprirmi alla parola tua voglio mettere la mia mano nella tua per non sentirmi solo e ingannato. In questa mia stagione, Signore, piena di sogni e di fantasia, esco dalla fascia di casa mia per incontrare il mondo senza aver paura. In questa mia stagione, o Signore, mi unisco a tante mani di fratelli per far andar la terra in altro modo sì che ci sia più spazio alla speranza. In questa mia stagione, o Signore, mi sento tanto piccolo e incapace ma tu dai sempre forza e mi fai grande perché con me sei tu, amico mio. Posso finalmente guardare, o Signore, fuori dalla mia porta, con gli occhi luminosi e vivi e camminare a passo svelto con il cuore che canta verso la stagione che presto anche per me verrà. Amen. (A.Dini, Preghiera vestita, EDB, Bologna, p. 51)
Il negozio
Un giovane sognò di entrare in un grande negozio. A far da commesso, dietro un bancone, c’era un angelo. “Che cosa vendete qui?”, chiese il giovane. “Tutto ciò che desidera”, rispose cortesemente l’angelo. Il giovane cominciò ad elencare: “Vorrei la fine di tutte le guerre del mondo, più giustizia per gli sfruttati, più tolleranza…”. L’angelo lo interruppe: “Mi dispiace, signore. Lei mi ha frainteso. Noi non vendiamo frutti, noi vendiamo solo semi”.
Il Regno è sempre un inizio, un minuscolo, quasi trascurabile inizio. Dio stesso è venuto sulla terra come un seme, un fermento, un minuscolo germoglio. Un seme è un miracolo. La tua anima è un giardino in cui sono seminate le imprese e i valori più grandi. Li lascerai crescere
Tu sei un raggio dell’amore di Dio
Tu sei stato creato per l’amore, per un Dio che è amore. Tu che sei pieno di sogni, che t’infiammi di desiderio, che gusti la vita e l’avventura, tu sei fatto per Dio. Perché in ogni donna, in ogni uomo, c’è un’impronta di Dio, una nostalgia che si quieta soltanto in lui. Tu sei un raggio dell’amore divino. Nella tua anima c’è un arcobaleno bambino addormentato, c’è un nido di speranze che non hanno mai volato. Entra nella tua anima, spolvera le sue ragnatele ed esplora i suoi misteri. Troverai l’amore, troverai Dio.
Il successo
Un missionario che era vissuto in Cina per molti anni e un famoso cantante che vi era rimasto soltanto per due settimane tornavano negli Stati Uniti a bordo della stessa nave. Quando attraccarono il missionario vide una gran folla di ammiratori in attesa del cantante.
“Signore, non capisco”, mormorò il missionario. “Ho dedicato 42 anni della mia vita alla Cina, e lui ci è rimasto soltanto due settimane, eppure ci sono migliaia di persone che gli danno il bentornato a casa, mentre per me non c’è nessuno”.
E il Signore rispose: “Figliolo, ma tu non sei ancora a casa!”.
Un giorno un turista entrò nella casa di un santo uomo e si stupì quando vide che era composta soltanto di una stanza piena di libri. Gli unici mobili erano un tavolo ed una panca. “Dove sono i tuoi mobili?”, chiese il turista. “E i tuoi?, replicò il santo. “I miei? Ma io sono qui solo di passaggio”, disse il turista. “Anch’io”, disse il santo.
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La richiesta di un quindicenne
Volevo latte
E ho ricevuto un biberon,
Volevo dei genitori
E ho ricevuto un giocattolo,
Volevo parlare
E ho ricevuto un televisore,
Volevo imparare
E ho ricevuto pagelle,
Volevo pensare
E ho ricevuto sapere,
Volevo una visione generale
E ho ricevuto un’ideuzza,
Volevo essere libero
E ho ricevuto la disciplina,
Volevo amare
E ho ricevuto la morale,
Volevo felicità
E ho ricevuto denaro,
Volevo un senso
E ho ricevuto una carriera,
Volevo speranza
E ho ricevuto paura,
Volevo cambiare
E ho ricevuto compassione,
Volevo vivere…
Che cosa ne pensiamo noi educatori?
La preghiera Abbiamo bisogno di riscoprire in maniera sempre nuova la dimensione filiale della preghiera. E’ vero che diciamo il “Padre nostro”, ma forse quando preghiamo ci rivolgiamo al Signore più come a nostro Dio che a nostro Padre. Per noi Dio è ancora troppo poco “nostro Padre”. La nostra preghiera è ancora troppo “nostra” invece di essere di Gesù, è ancora troppo nel nostro nome invece di essere nel nome suo. Troppo facilmente dimentichiamo che, quando siamo a tu per tu con Dio, coinvolgiamo in questo colloquio Cristo, che ci dà il diritto di entrarvi, e di farci sentire figli, attingendo da questa convinzione di figliolanza la spontaneità, la tenerezza, l’esultanza della preghiera (A. Ballestrero, Luce sul mio cammino, Ancora)
Il segreto del paradiso Dopo una lunga vita un valoroso samurai fu destinato al paradiso, ma per arrivarci doveva attraversare l’inferno. Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di cibi succulenti. Ma i commensali, seduti tutt’intorno, erano smunti e scheletrici da far pietà. “Com’è possibile?” chiese il samurai. “Vedi, rispose l’angelo che lo accompagnava, quando arrivano qui tutti ricevono due bastoncini per mangiare, che sono lunghi un metro e devono essere impugnati all’estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca.” La punizione era davvero terribile: per quanti sforzi facessero nessuno riusciva a portarsi nulla alla bocca. Quando giunse in paradiso il samurai fu sorpreso. Il paradiso era assolutamente identico all’inferno ed anche qui i commensali avevano bastoncini lunghi un metro, che dovevano essere rigorosamente impugnati all’estremità. Eppure la gente era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia. “Ma come è possibile?” chiese il samurai. L’angelo sorrise: “All’inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo ed a portarselo alla bocca, perché si sono sempre comportati così nella vita. Qui, al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino.
Essere figli Essere figlio significa prima di tutto essere vulnerabile, perché si dipende, per poter crescere, dall’amore materno e paterno. Quell’originaria dipendenza, per ciascuno di noi, è la fonte di ogni forma di autonomia e di realizzazione di sé. Anche la radice della vita di fede è la consapevolezza del proprio limite, della dipendenza da Dio; una dipendenza che non ci schiaccia, non ci vincola, anzi ci dona la sicurezza di essere amati, sempre e comunque.
Ho sporcato tutto Guardo le mie mani, il mio cuore, il mio mondo, e inorridisco di vergogna. Ho sporcato tutto, Signore. Ma, nell’oceano sconfinato dell’amarezza disperata che oggi è nata, si accende una luce: è la prima alba di un mondo nuovo che tu, o Signore, malgrado tutto riesci a fare.
Esco di casa:
guardo gli uomini e le cose e nulla m’impaurisce.
Sento che tutto canta.
Vedo che tutto sorride.
Scopro che tutto è nuovo perché tu, o Signore, hai cancellato “l’ieri” di una creazione sbagliata per colpa di un uomo come me, e getti il seme di cieli nuovi e di una terra nuova.
Grazie, Signore!
(A.Dini, Preghiera vestita, EDB, Bologna, p. 33)
Paradiso e inferno sono nelle tue mani. Oggi
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