Amami mamma! La ragazza era di pessimo umore. Aveva tutte le sue spine fuori, proprio come un porcospino tormentato da un cane. Troppi compiti a casa, troppe interrogazioni, troppo tutto… ecco! La madre le ripeteva la solita predica, con ragionamenti, spiegazioni e raccomandazioni. La ragazza si fece ancora più scura. Poi guardò la mamma dritta negli occhi e scandì: “Mamma, sono stanca delle tue solite prediche. Perché invece non mi prendi tra le tue braccia e mi tieni stretta?”. Non far prediche, ma abbraccia le persone che ami; e quando sei in crisi sappi che Dio è pronto ad accoglierti nel suo abbraccio d’amore.
La ragione dell’asino Una volta gli animali fecero una riunione.
La volpe chiese allo scoiattolo: “Che cos’è per te Natale?” Lo scoiattolo rispose: “Per me è un bell’albero con tante luci e tanti dolci da sgranocchiare appesi ai rami”.
La volpe continuò: “Per me naturalmente è un fragrante arrosto d’oca. Se non c’è un bell’arrosto d’oca non c’è Natale”. L’orso l’interruppe: “Panettone! Per me Natale è un enorme profumato panettone!”. La gazza intervenne: “Io direi gioielli sfavillanti e gingilli luccicanti. Il Natale è una cosa brillante!”. Anche il bue volle dire la sua: “E’ lo spumante che fa il Natale! Me ne scolerei anche un paio di bottiglie”.
L’asino prese la parola con foga: “Bue sei impazzito? E’ il Bambino Gesù la cosa più importante del Natale. Te lo sei dimenticato?”.
Vergognandosi, il bue abbassò la grossa testa e disse: “Ma questo gli uomini lo sanno?”.
Solo l’asino conosce la risposta giusta alla domanda fondamentale: «Ma che cosa si festeggia a Natale?».
Anche noi oggi vogliamo chiederci: “Qual è l’elemento essenziale del Natale?” Proviamo a dire il nostro parere.
Il cristiano che opera nella scuola è un testimone Parlare di testimonianza significa introdurre due dimensioni essenziali a tutta la vita cristiana: quella dell’umiltà e quella della spiritualità. Con infinito rispetto di fronte a ciò di cui è testimone e con il distacco di coloro che conoscono i propri limiti, il testimone è quella donna o quell’uomo che confida nell’amore che ha ricevuto e che vuole donare. L’incontro con i colleghi o gli alunni diventa un’alleanza di fiducia, una visita in pura gratuità: così viene il giorno in cui quella visita viene riconosciuta e denominata come visita del Dio della vita. Il testimone non si impone, non ha la sicurezza di un venditore di cravatte. Poiché ciò che dice è quanto cerca di vivere, non si propone come unico modello di credente. Ma la sua modesta storia, la sua vita, in tutta la sua contingenza, dirà qualcosa di universale, di grande, di bello: che l’amore di Dio riempie la vita le dona senso e pienezza.
(H.Derroitte, La catechesi liberata, LDC, p. 24)
Guarda… Un beduino si trovò, un giorno, camminando nel deserto, nella grotta di un eremita. Si guardò intorno, poi disse: “Come fai a vivere qui, solo, povero, lontano da tutti?”. “Io non sono povero, rispose l’eremita, ho grandi tesori: guarda là”. L’eremita indicò una fessura, che si apriva sul fianco della grotta e chiese: “Che cosa vedi?”. “Niente, rispose il beduino, solo un pezzo di cielo”. “Un pezzo di cielo? Non ti sembra un tesoro meraviglioso?”. Noi abbiamo tutta la volta celeste, abbiamo un Dio che ci sorride, che vuole abitare nella nostra vita. E guardiamo la tv…
Martire o pecora
Tu, Signore, sei stato molto chiaro:
non hai usato sfumature di linguaggio
né hai fatto niente di accomodante.
Insegnami, o Signore,
in quest’ora grigia del mio tempo
ad andare contro corrente,
a salire i sentieri più deserti,
a sperare ciò che chiamano assurdo,
a credere ciò che sembra utopia,
ad amare come ami tu,
a lottare contro le ingiustizie anche quando
ci rimetto,
a costruire anche da solo ciò che è vero,
a cantare anche da solo ciò che è bello,
a vivere anche da solo ciò che mi hai detto,
giacchè sono convinto
che il martire avrà il suo domani
e la sua storia
mentre la pecora ha solo il suo oggi
e il suo macellaio.
Amen
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L’anima e lo specchio “Guarda dalla finestra, che cosa vedi?” disse il maestro al discepolo. “Vedo una donna con un bambino, un ‘automobile che passa ed un contadino che va al mercato”. “Bene, adesso guarda nello specchio. Che cosa vedi?”. “Che cosa vuoi che veda? Me stesso, naturalmente”. Il maestro concluse: “Ora pensa: la finestra è fatta di vetro ed anche lo specchio è fatto di vetro. Basta un sottilissimo strato di argento sul vetro è l’uomo vede solo se stesso. Non permettere che la finestra del tuo cuore diventi uno specchio!
Gesù è il più grande dono di Dio L’amore che si dona non rende poveri, ma più ricchi e vitali. Sentiamo la gratitudine per Dio che si è fatto uomo? Siamo capaci di declinare nella nostra vita l’amore come dono di sé, del quale Dio, in Gesù, si è fatto modello? Non è facile pensare che è proprio nel donarla che la vita si realizza. Eppure ci sono tanti esempi in natura: il fiore è animato dalla forza di aprirsi e profumare; il seme dalla spinta a uscire ed innalzarsi… Un fiore non sboccia per beneficiare gli altri, l’usignolo non canta per rallegrare i campi. Un fiore sboccia perché è nello sbocciare che realizza se stesso; un usignolo canta perché è cantando che esprime se stesso. Allo stesso modo l’uomo. Dona la vita perché è nel donarla che la realizza:
“L’albero dà frutti e non si sente creditore: la sua vita è donare. Se il passante gli toglie il peso del frutto, questa è la sua fortuna più che ricevere” (Tagore)
L’albero dà frutti non perché deve darli, ma perché ciò corrisponde al suo essere. Così amiamo gli altri: non per dovere, ma perché è nell’amore che sentiamo di essere donne e uomini realizzati. Così è stato anche per Gesù.
“L’amore di Dio e l’amore del prossimo sono due battenti di una porta, che non si possono aprire e chiudere se non insieme” (S. Kierkegaard)
“L’amore di Dio e l’amore del prossimo sono due battenti di una porta, che non si possono aprire e chiudere se non insieme” (S. Kierkegaard)
Il pacco regalo Un giorno il postino suonò il campanello di un anziano signore, che viveva sempre in casa, solo. Quando la porta si aprì il postino fece un generoso sorriso e consegnò il grosso pacco dono che aveva portato al vecchio, il quale però lo accolse con un’aria mesta. “Dovrebbe essere contento di ricevere un regalo!”, esclamò il postino.
“E’ di mia figlia” rispose il vecchio, “vive in un’altra città ed è sempre impegnata; non ha mai tempo per venirmi a trovare. Venga a vedere…”. Condusse il postino vicino a un grande armadio. Lo aprì: era pieno di pacchi dono. “Ma… non li ha nemmeno aperti!” sbottò il postino.
“Perché avrei dovuto?” disse sommessamente il vecchio, “tanto non c’è amore, dentro…”.
“Non conta nella vita fare cose grandi o piccole, vistose o insignificanti, ma soltanto conta l’amore con cui esse si effettuano” (Giovanni XXIII)
L’amore è una scelta di libertà Il genitore ama il figlio, ma lo ama in quanto sceglie di amarlo: per questo gli è data la libertà. L’amore, per essere tale, deve essere una scelta di libertà. Allo stesso modo la libertà del figlio non è nel fuggire di casa, ma nel dire a suo padre e sua madre: “Accetto di essere vostro figlio”. La libertà gli offre l’opportunità di uscire dalla logica schiavo-padrone ed entrare nella logica padre-madre-figlio. Così sia la tua relazione con Dio: non uno schiavo che si sottomette ad un padrone, ad un tiranno, bensì un figlio che accoglie l’amore infinito di un Padre.
Semplicemente così Caro Gesù, quest’anno voglio scrivere a te. Per tanti motivi. Prima di tutto perché so che tu mi leggerai di sicuro e la mia lettera non rischierà di finire come le tue. Ce ne hai scritte tante, di lettere d’amore, ma noi non le abbiamo neppure aperte. Poi, perché so che tu vai sempre al nocciolo, o alla radice, e sei imbattibile a leggere sotto le righe. E anche stavolta, ne sono certo, sotto le righe sai scorgere il mio cuore gonfio di paure e di speranze, di preoccupazioni e di tenerezze. Ma soprattutto, scrivo a te perché so che a Natale verranno a salutarti moltissime persone, ed io te le raccomando, una ad una. Dona loro la gioia di te. Ispira in loro i brividi dei cominciamenti, le freschezze del mattino, l’intuito del futuro. Metti nel cuore di chi sta lontano una profonda nostalgia di te. Asciuga le lacrime segrete di tanta gente, che non ha il coraggio di piangere davanti agli altri. Entra nelle case di chi è solo, di chi non attende nessuno, di chi a Natale non riceverà neppure una cartolina e, a mezzogiorno, non avrà commensali. Buon Natale, fratello mio Gesù, che abiti non solo nella gloria dei cieli, ma anche nella vita sfigurata degli ultimi. Amen.
(Adattato da: T.Bello, Parole d’amore)
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I vostri figli non sono vostri… I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della fame che di se stessa ha la vita. Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi. E non vi appartengono, benchè viviate insieme. Potete amarli, ma non costringerli ai vostri pensieri. Poiché essi hanno i loro pensieri. Voi siete gli archi da cui i figli, le vostre frecce vive, sono scoccati lontano. L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero infinito, e con la forza vi tende, affinchè le sue frecce vadano rapide e lontane. In gioia siate tesi nelle mani dell’Arciere. Poiché, come ama il volo della freccia, così l’immobilità dell’arco (K. Gibran, Il profeta, Feltrinelli). ”Vi assicuro che se due di voi, in terra, si troveranno d’accordo su quel che devono fare e chiederanno aiuto nella preghiera, il Padre mio che è in cielo glielo concederà. Perché, se due o tre si riuniscono per invocare il mio nome, io sono i mezzo a loro” (Mt 18,19-20). Cerca chi, nella tua scuola, può condividere la fede nel Risorto. Vi sosterrete a vicenda, se possibile con la preghiera comune; ma semplicemente guardandovi negli occhi troverete nella vostra unità, innestata nello Spirito di Cristo, il coraggio e la forza per donarvi senza riserve, per essere educatori veri. Scoprirete così la bellezza della comunione fraterna “vissuta grazie a quei continui ricominciamenti che sono le riconciliazioni” (R. Schutz). Vivendo e lavorando insieme ne avrete continua necessità. Diverrete esperti, con il frequente esercizio, di ascolto e di perdono. Il perdono è la prua dell’amore. E “l’amore è la prima e più comune forma di emozione che conduce alla collaborazione” (B.Russel).
“Dormivo e sognavo che la vita era gioia. Mi svegliai e vidi che la vita era servizio. Volli servire e vidi che la vita era gioia” (Tagore)
La storia del rasoio pigro Nella bottega di un barbiere c’era un bel rasoio. Un giorno tirò fuori la sua lama, che riposava nel manico come in una guaina e rimase meravigliato dei bagliori che il sole produceva specchiandosi in essa. Pensò: “Ed io dovrei consumarmi nel tagliare barbe a zoticoni che affollano questa bottega?”. Così si nascose e per molti mesi non si fece trovare. Finalmente un giorno decise di uscire dal suo manico. Ahimè! La lama, divenuta scura come una sega arrugginita, non rispecchiava più lo splendore del sole.La stessa fine è riservata alle persone che, invece di spendere e donare le loro qualità, preferiscono venire corrose dalla ruggine dell’indifferenza e dell’egoismo. (Liberamente tratta da una favola di Leonardo da Vinci)
La fede in azione è amore; l’amore in azione è servizio (Madre Teresa di Calcutta)
Tutti siamo figli Non tutti gli uomini vivono direttamente l’esperienza della paternità, tutti però sono figli. Sappiamo tutti che cosa significa avere alle spalle una figura di padre che ci ama. Chi l’ha perduta ricorda sempre di averla avuta. Chi non ha mai avuto la gioia di conoscerla, la sogna sempre. E chi ne fosse rimasto deluso, continua a immaginare come molte cose sarebbero cambiate se fosse stato diverso. Gesù ha vissuto un rapporto bello con il Padre, quel Dio di cui anche noi siamo figli. Sperimentiamo il suo amore nella nostra vita?
Questo sussidio, che l’Ufficio Diocesano di Pastorale Scolastica predisporrà ogni mese, per la durata dell’intero anno scolastico, vuole essere un’occasione rivolta ai cristiani che operano nella scuola, per fermarsi un poco, per sostare, e raccogliere la propria vita e il proprio agire intorno a Gesù Cristo, che li motiva e dona loro senso. Leggere e meditare queste semplici righe può inoltre farci sentire più Chiesa, perché consapevoli che altri, in tutte le scuole della Diocesi, cercano di vivere con coraggio e passione, pur tra mille difficoltà, la loro fede.
Il direttore dell’Ufficio Diocesano della Pastorale Scolastica (G. Marchioni)
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La fede Fede non è la scelta di un programma che mi soddisfi o l’adesione a un club di amici fra i quali mi senta compreso; non è la generica dichiarazione di credere all’esistenza di Dio, né pretendere che Dio agisca secondo i nostri tempi, realizzando le nostre idee. Fede significa abbandonarsi in Dio e perdersi nella fiamma del suo amore. Il nostro essere ad immagine e somiglianza di Dio che è amore ci rende capaci e bisognosi di amore e di amare. Il fiore è animato dalla forza di aprirsi e profumare, l’uccello dalla voglia di cantare. Ma un fiore non sboccia per beneficiare gli altri e l’usignolo non canta per rallegrare i campi. Un fiore sboccia perché è nello sbocciare che realizza se stesso; un usignolo canta perché è nel cantare che esprime se stesso. Allo stesso modo l’uomo ha da amare donando la vita, perché è nel donarla che la realizza. Come l’albero dà i frutti non perché deve, ma perché corrisponde al suo essere, così l’uomo ha da amare non per dovere, ma per interna esigenza. L’amore è iscritto nella nostra struttura, è intessuto nelle nostre fibre e noi non possiamo disfarcene: “L’uomo porta in sé Dio, come la lucciola la luce: egli può spegnerla. Ma essa rimane” (R. Follereau).
Dove arriva l’amore L’alpinista inesperto, vedendo la cima del monte, pensa di giungervi facilmente; ma più avanza più la meta sembra allontanarsi sempre più. Così noi crediamo di essere esperti d’amore. Ma per scalare le cime, esplorare le profondità, godere delle ricchezze dell’amore, abbiamo bisogno di una guida: Gesù. Stare in intimità con lui ci aiuterà a scoprire fin dove può arrivare l’amore: cioè a dare la vita per i fratelli.
Figli Il genitore ama il figlio, ma lo ama in quanto sceglie di amarlo: per questo gli è data la libertà. L’amore, per essere tale, deve essere una scelta di libertà. Allo stesso modo la libertà del figlio non è nel fuggire di casa, ma nel dire a suo padre e sua madre: “Accetto di essere vostro figlio”. La libertà gli offre l’opportunità di uscire dalla logica schiavo-padrone ed entrare nella logica padre-madre-figlio. Così sia la tua relazione con Dio: non uno schiavo che si sottomette ad un padrone, ad un tiranno, bensì un figlio che accoglie l’amore infinito di un Padre.
Lo spreco Un giovane monaco fu inviato per alcuni giorni in un monastero delle Fiandre a tessere un importante arazzo insieme ad altri monaci. Un giorno si alzò indignato dal suo scranno. “Basta! Non posso andare avanti! Le istruzioni che mi hanno dato sono insensate!” esclamò. “Stavo lavorando con un filo tutto d’oro e a un tratto devo annodarlo e tagliarlo senza ragione. Che spreco!”. “Figliolo”, replicò un monaco più anziano, “tu non vedi questo arazzo come va visto. Sei seduto dalla parte del rovescio e lavori soltanto in un punto”. Lo condusse davanti all’arazzo che pendeva ben teso nel vasto laboratorio, e il giovane monaco rimase senza fiato. Aveva lavorato alla tessitura di una bellissima immagine dell’adorazione dei Magi e il suo filo d’oro faceva parte della luminosa aureola intorno alla testa del Bambino. Ciò che al giovane era sembrato uno spreco era meraviglioso.
La vita è sempre nuova Busso a tutte le porte. Percorro tutte le strade. Sono un giramondo affamato: a tutti stendo la mano, ma non raccolgo che briciole ammuffite. Ho fame di un cuore aperto, di un’amicizia pulita, di una verità assoluta, di una bellezza riposante. Ho fame di una pace che fiorisce, di una speranza che risplende, di un volto che sorride, di una mano che accarezza. Sei tu, Signore, colui che cercavo. Sei come l’onda del mare, che da lontano viene, che si spezza quando m’incontra, che riflette la luce del sole, che nasconde una vita che è mistero, che in ogni istante è nuova, che sorride al mio gioco infantile, che risponde alla mia ricerca cullandomi con pacata dolcezza. Ti ho incontrato ad ora tarda, Signore, ma ancora in tempo per gridare a tutti che tu sei la vita. Amen.
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La mappa del Vangelo Disse qualcuno che “la vita ci è data per cercare Dio, la morte per trovarlo, l’eternità per possederlo” (J. Nouet). Perciò, come un atleta si prepara, allenandosi, alla gara, così l’uomo abita una frazione di tempo per prepararsi all’incontro con Dio. La tua vita terrena è come un monte da scalare per godere l’aria pura della vetta; tu sei come un fiore che deve farsi largo nella terra per sbocciare nella visione di Dio. L’atleta segue le indicazioni dell’allenatore. Anche il fiore s’incunea dove la terra è più friabile e si rivolge irresistibilmente verso la luce. Così anche tu hai da lasciarti istruire e guidare da Dio che ti indica la via, percorrendo la quale la tua esistenza sboccerà in pienezza. Per raggiungere questa pienezza hai bisogno di una mappa, di una lampada che faccia luce ai tuoi passi, altrimenti incerti. Questa mappa è il Vangelo, custodito dalla Chiesa.
I tre discepoli Dopo un lungo periodo di vita comune, passato nello studio e nella meditazione, tre discepoli avevano lasciato il vecchio maestro per incominciare la loro missione nel mondo. Dieci anni più tardi i tre discepoli tornarono a far visita al maestro. L’anziano monaco li fece accomodare intorno e ognuno raccontò la propria esperienza. “Io”, cominciò il primo, “ho scritto tanti libri e venduto milioni di copie”. “Tu hai riempito il mondo di carta”, disse il maestro. “Io”, prese a dire il secondo, “ho predicato in migliaia di posti”. “Tu hai riempito il mondo di parole”, disse il maestro. “Io ti ho portato questo cuscino perché tu possa appoggiare senza dolore le tue gambe malate”, disse il terzo. “Tu”, sorrise il maestro, “tu hai trovato Dio”. In ginocchio, davanti agli apostoli, Gesù si definisce loro maestro facendosi loro servitore (G. Bessieres)
I segni del passaggio di Dio Vai oltre ciò che sei. Vai oltre ciò che sai. Vai oltre ciò che fai. Non fermarti mai, perché tuo destino è l’essere pellegrino. Vai nel deserto della città, piena di gente e vuota d’amici; nel deserto della casa, colma di cose e vuota di sorriso; nel deserto della fabbrica ove soffia il vento del conflitto permanente e mai la brezza dell’amore, nel deserto della strada ove passano tante generazioni ma tutte incomunicanti. Devi andare ogni giorno per ricercare i segni del passaggio del tuo Dio. Devi andare perché c’è una pietra che aspetta te per essere spaccata sì da far uscire la fontana dell’acqua viva. Devi andare e non aver paura di quello che dicono gli altri, di quel che fanno gli altri, perché Dio è con te e nulla è contro di te. Aiutami, Signore, ad uscire allo scoperto, sotto il sole e le stelle di ogni ora, nella mischia e nella tempesta di ogni giornata, per essere volto e voce del tuo vangelo. Amen
Il fabbro All’epoca dei castelli di pietra e dei prodi guerrieri un baldo ragazzotto decise di diventare fabbro. Cominciò facendo l’apprendista ed imparò velocemente le tecniche del mestiere. Era veramente bravo: sapeva forgiare spade perfette ed elmi leggeri e resistenti. Così trovò un posto nell’officina del palazzo reale. Tutta la sua abilità, però, si rivelò inutile perché non aveva imparato la cosa più semplice: l’uso dell’acciarino per accendere il fuoco, indispensabile per il suo lavoro. E’ ovvio che i nostri giovani devono assimilare certe competenze, devono prepararsi a vivere nel ventunesimo secolo. Ma se non offriamo loro nient’altro, se neghiamo l’aspetto spirituale, non facciamo che occuparci dei dettagli dell’esistenza, come se essa non avesse un centro. In talune culture il processo di scoperta di questo centro spirituale è semplicemente chiamato ‘imparare ad essere umani’.
Vivi! Sorella mia! Fratello mio! Ama e soffri. Prega e sorridi. Lavora e spera. Costruisci e canta. Adora e fai silenzio. Rifletti e parla. Cresci e rimani fanciullo. Sii utile e non accorgerti di esserlo. Dai la tua mano e non aspettarti niente. Fai il tuo lavoro e loda quello fatto da altri. Fratello mio! Sorella mia! Lasciati bruciare dal sole e incantare dalle stelle. Lasciati cullare dal mormorio del vento e accarezzare dalla brezza del mattino. Lasciati incantare dalla bellezza di un fiore e commuovere dalla poesia di un sorriso. Vivi l’attimo del tuo impegno per scoprire vicino a te il volto del Padre, che ha i lineamenti di chi ti passa accanto. Vivi l’oggi del tuo respiro con il cuore che batte i rintocchi del domani che avanza.
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Il ricco e il povero Due amici si ritrovarono dopo una lunga separazione. Uno era diventato ricco, l’altro era povero. Mangiarono insieme, e rievocarono i ricordi comuni. Poi il povero si addormentò. L’amico, colmo di compassione, prima di partire gli fece scivolare in tasca un grosso diamante di valore inestimabile. Ma al risveglio il povero non trovò quel tesoro e continuò la vita di sempre. Un anno dopo le circostanze fecero nuovamente incontrare i due amici. “Dimmi: perché”, chiese il ricco all’amico, vedendo che era ancora in miseria, “non hai trovato il tesoro che ti avevo messo in tasca?”.
Ogni incontro tra persone è un’esperienza simile. Ogni uomo o donna che vivono con noi ci regalano tesori preziosi. Il più delle volte, però, non ce ne accorgiamo
Il seme del mattino Vorrei fare della terra un giardino che canta ciò che è buono, che esalta ciò che è vero. Vorrei spazzare la mia città, togliendo dalle case e dalle strade l’ubriacone e il violento, il menefreghista e l’avaro, il prepotente e l’ingiusto. E vorrei cambiare il prossimo inetto e maleducato, quello scorbutico e fannullone, quello pieno di pretese, che non sa apprezzare il mio lavoro… Vorrei fare della terra un giardino che profuma ogni mattino, che rallegra ogni sera. Ma è giusto, Signore, che avvenga così? E’ una pretesa, la mia, orgogliosa e sciocca, farisaica e intollerante. Tu sei molto più paziente di me e fai piovere sul campo del giusto e dell’ingiusto. Io devo solo gettare dovunque i semi dei fiori, anche se cadono sulle pietre e fra le spine e la zizzania. Ci sarà pur sempre un po’ di terra che, accogliendo il seme, diventerà giardino. Aiutami, Signore, ad essere soltanto e sempre il buon seme di ogni mattino.
La sapienza cristiana Accade che l’uomo, lungo il cammino della sua esistenza, conosca smentite dolorose delle proprie attese e dei propri disegni; smentite che fanno apparire lo stile di vita più diffuso, più comune, come un inganno. La sapienza è appunto quel sapere riflesso che consente di evitare l’inganno della vita, cioè il ritrovarci spiazzati, sconfitti nel tempo della difficoltà, della prova. Al cristiano la sapienza dice che l’inganno della vita afferra quando non c’è stato il dialogo con Dio, quando non è stata riconosciuta la presenza di Dio nella storia personale, quando il suo profumo non ha colorato di senso l’esistenza. La sapienza cristiana, che rivela all’uomo di essere fatto per Dio, ha un nome: Gesù. Gesù è la sapienza eterna che si è incarnata. Gesù è il mio compagno di viaggio, colui che permette all’uomo di ricostruirsi, di rialzarsi, dopo aver preso coscienza delle rovine causate dal suo orgoglio e dalla sua vanità.
La felicità Questo cerca l’uomo: la felicità. La felicità non è veder realizzate le proprie idee e neppure avere il potere. E’ addirittura diversa dalla gioia, che pure è fresca e bella, ma non definitiva. Forse la pienezza della felicità non si può raggiungere su questa terra. Ma se ne può gustare il sapore, quando intuiamo che l’esistenza ha un senso, pur tra le inevitabili difficoltà. E se ne può avvertire il profumo, quando avvertiamo che seguire Cristo corrisponde alla nostra esigenza di pienezza, alla nostra sete di realizzazione. Bisogna però che vendiamo il nostro orgoglio, i nostri attaccamenti, i nostri egoismi. Chi è pieno di sè e delle sue cose basta a se stesso, non ha bisogno di un Dio che gli riempie la vita. Invece chi si sente smarrito e povero può gustare l’amicizia di quel Gesù che gli tende la mano e gli dice: “Ti amo”.
Vigila bene chi ama Vigila bene chi ama. E’ dell’amore vigilare. Lo fa una sposa quando s’impegna a rendere la casa accogliente, a preparare tutto ciò che può servire al suo sposo: fa ogni cosa in vista di lui. Quando arriverà, nel suo saluto festante ci sarà tutto il lavoro della sua giornata. Così fa una mamma, quando riposa un attimo dall’accudire il suo figlio malato: dorme, ma il suo cuore veglia. Così agisce chi ama Gesù. Fa tutto in funzione di lui, cercato in ogni istante, momento per momento, allo scopo di fare la sua volontà. Vegliare significa allora impegnarsi ad amare, cercare di capire quello che Dio vuole da noi, come Dio vuole che amiamo. Molti dicono: “Ma io non ho mai avvertito la presenza di Dio, non mi sono mai accorto che lui mi volesse dire qualche cosa”. Se vuoi chiamare un amico, devi prima comporre il numero del telefono; così, se vuoi sentire la voce di Dio, hai da cercare la sintonia con lui. Oggi, dal momento in cui ti sei svegliato/a, quante volte hai cercato di ascoltare la sua voce nella tua vita?
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