Accogliamo domande di aspiranti insegnanti di religione se muniti di titolo. La domanda (il modulo è scaricabile su questo sito Menù IRC sezione Modulistica) dev’essere corredata dalla presentazione del parroco e dal curriculum personale. Spedire il cartaceo a: Ufficio Scuola diocesano, P.zza Duomo 33, 29121 Piacenza
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Il tocco del maestro Ad una vendita all’asta, il banditore sollevò un violino. Le corde pendevano allentate. “Che offerta mi fate, signori?” gridò. “Partiamo da…100 euro!”. “Centocinque!” disse una voce. “Centocinque, uno; centocinque, due; centocinque…”. Dal fondo della stanza un uomo dai capelli grigi avanzò e prese l’archetto. Con il fazzoletto spolverò il vecchio violino, tese le corde allentate, lo impugnò con energia e suonò una melodia pura e dolce come il canto degli angeli. Quando la musica cessò, il banditore, con una voce calma e bassa, disse: “Quanto mi offrite per il vecchio violino?”. E lo sollevò insieme con l’archetto. “Un milione, e chi dice due milioni? Due milioni! E chi dice tre milioni? Tre milioni uno tre milioni, due; tre milioni e tre, aggiudicato”, disse il banditore. La gente applaudi, ma alcuni chiesero: “Che cosa ha cambiato il valore del violino?”. Pronta giunse la risposta: “Il tocco del Maestro”. Siamo vecchi strumenti impolverati e sfregiati. Ma siamo in grado di suonare sublimi armonie. Basta il tocco del Maestro.
Essere l’Amato Essere l’Amato esprime la verità centrale della nostra esistenza. La voce dolce e gentile che mi chiama l’Amato è venuta a me in innumerevoli modi. I miei genitori, gli amici, gli insegnanti, gli studenti e i molti estranei che ho incrociato nel mio cammino, mi hanno fatto sentire quella voce in toni differenti. Sono stato benvoluto con tenerezza e gentilezza da molte persone. Sono stato ricompensato e elogiato per il mio successo…però tutti questi segni d’amore non sono stati sufficienti a convincermi che ero l’Amato. Sotto l’apparente salda fiducia in me stesso, c’era sempre la stessa domanda: “Se tutti quelli che mi coprono di tanta attenzione, potessero vedere e conoscere la parte più intima di me stesso, mi amerebbero ancora?”. Questa tormentosa domanda era radicata nella mia intima oscurità, continuando a perseguitarmi e a farmi fuggire da dove quella tranquilla voce, che mi chiamava l’«Amato», poteva essere ascoltata. Noi siamo gli Amati. Siamo intimamente amati, assai prima che i nostri genitori, insegnanti, coniugi, figli e amici ci abbiano amati, o offesi. Questa è la verità enunciata dalla voce che dice: “Tu sei il mio Amato”. (Da “Sentirsi Amati” di H. Nouwen)
Bella giornata, non è vero? Il giorno era cominciato male e stava finendo peggio. Come al solito, l’autobus era molto affollato. Poi sentii una voce profonda provenire dalla parte anteriore dell’autobus: “Bella giornata, non è vero?”. A causa della folla non riuscivo a vedere l’uomo, ma lo sentivo descrivere il paesaggio primaverile. Di lì a poco tutti i passeggeri guardavano fuori dal finestrino. L’entusiasmo era cosi contagioso che mi misi a sorridere per la prima volta nella giornata. Arrivammo alla mia fermata. Dirigendomi con difficoltà verso la porta, diedi un’occhiata alla nostra guida: una figura grassottella con la barba nera, gli occhiali da sole, con in mano un bastone bianco.
Era cieco! Scesi dall’autobus e, all’improvviso, tutta la mia tensione era svanita. Dio nella sua saggezza aveva mandato un cieco che mi aiutasse a vedere: a vedere che, sebbene a volte le cose vadano male, quando tutto sembra scuro e triste, il mondo continua ad essere bello. Canticchiando un motivetto salii le scale del mio appartamento. Non vedevo l’ora di salutare mio marito con le parole: “Bella giornata, non è vero?”.
Lo scorpione Un monaco si era seduto a meditare sulla riva di un ruscello. Vide uno scorpione che era caduto nell’acqua e lottava disperatamente per stare a galla e sopravvivere. Pieno di compassione, il monaco immerse la mano nell’acqua, afferrò lo scorpione e lo posò in salvo sulla riva. L’insetto per ricompensa si rivoltò di scatto e lo punse provocandogli un forte dolore.Il monaco tornò a meditare, ma quando riaprì gli occhi, vide che lo scorpione era di nuovo caduto in acqua e si dibatteva con tutte le sue forze. Per la seconda volta lo salvò e anche questa volta lo scorpione punse il suo salvatore fino a farlo urlare per il dolore. Un contadino che aveva assistito alla scena esclamò: «Perché ti ostini ad aiutare quella miserabile creatura che invece di ringraziarti ti fa solo male?». «Perché seguiamo entrambi la nostra natura» rispose il monaco. «Lo scorpione è fatto per pungere e io sono fatto per essere misericordioso».
Ogni figlio è unico Ogni figlio ha da essere amato in modo unico, non ripetibile. Se i figli fossero contenitori, diversi per forma e capienza, non avrebbe senso riempirli con la stessa quantità d’acqua, in modo che uno sia pieno a metà e l’altro stracolmo. Bisognerebbe piuttosto riempire ciascuno secondo la sua capacità di contenere. Si tratta insomma di amare ciascuno per quello che è, per la sua unicità: “Figlio mio, è importante che tu ci sia. La nostra famiglia, senza di te, non sarebbe la nostra famiglia, sarebbe un’altra. La tua presenza rende la nostra famiglia più ricca, perché possiamo godere delle tue buone qualità e perdonare i tuoi difetti. Qui sei amato non quanto tuo fratello, ma perché sei tu e noi non ti cambieremmo con nessuno al mondo. Noi amiamo ciascuno come figlio unico”. E tu, per che cosa sei fatto?
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Meditazioni per il sostegno spirituale degli operatori scolastici
La morte Un saggio sufi si imbarcò su una nave per recarsi dall’altra parte del mare. A metà della traversata si scatenò una tempesta di tale violenza che le onde altissime scagliavano la nave in su e in giù come se fosse un fuscello. Tutti avevano una paura tremenda, e chi pregava, chi si rotolava gridando, chi gettava tutti i suoi beni in mare. Solo il saggio rimaneva imperturbabile.Quando la tempesta si calmò, e a poco a poco il colore tornò sulle gote dei naviganti, alcuni di loro si rivolsero al saggio e gli chiesero: “Ma come mai tu non hai avuto paura? Non ti sei accorto che tra noi e la morte c’era soltanto una tavola di legno?”. “Certo, ma nel corso della vita mi sono accorto che spesso c’è ancor meno”.
Quanto ci separa dalla morte? E davvero così sottile il confine tra la vita e la morte.
Negli ultimi mesi di vita, Don Bosco camminava a fatica. Chi lo vedeva attraversare i cortili spesso gli chiedeva: “Dove va, Don Bosco?”. La risposta era sempre la stessa: “In Paradiso”.
Lo potremmo dire tutti, ad ogni passo della nostra vita: “Sto arrivando, Signore”.
Guardare e vedere Per molti la vita è proprio come una bottiglia: ne leggono solo l’etichetta, pochi s’inebriano del contenuto. Un giorno un saggio mostrò un fiore ai suoi discepoli e chiese a ciascuno di loro di dire qualcosa. Essi l’osservarono in silenzio per un pò. Poi uno pronunciò un discorso filosofico sul fiore. Un altro compose una poesia. Etichettatori! Il terzo discepolo guardò il fiore e sorrise: solo lui l’aveva visto! Anche in famiglia splendono fiori d’amore, che spandono un intenso profumo. Ma occorre fermarsi e guardare, per scoprirli e gustarne l’essenza. Del tempo consumato nell’amore, per esempio, di quel continuo succedersi di attimi vissuti per il bene dello sposo, della sposa, o spesi per sostenere e guidare l’avventura del vivere dei figli, non rimane quasi traccia nella memoria della famiglia, eppure è impresso nei visi, nelle mani, nel cuore, negli occhi dei genitori. Sì, negli occhi. Ciò che sorprende, in chi ama, è che gli occhi non sono freddi, spenti, ma accesi di freschezza, di speranza, di gioia.
L’ospitalità per papa Francesco “La Chiesa è la madre dal cuore aperto che sa accogliere, ricevere, specialmente chi ha bisogno di maggiore cura, chi è in maggiore difficoltà. La Chiesa, come la voleva Gesù, è la casa dell’ospitalità. Quanto bene possiamo fare se ci incoraggiamo ad imparare il linguaggio dell’ospitalità, dell’accoglienza! Quante ferite, quanta disperazione si può curare in una dimora dove uno possa sentirsi accolto, ma per questo occorre tenere le porte aperte, soprattutto del cuore”. “Ospitalità con l’affamato, con l’assetato, con lo straniero, con il nudo, con il malato, con il prigioniero (cfr Mt 25,34-37), con il lebbroso, con il paralitico. Ospitalità con chi non la pensa come noi, con chi non ha fede o l’ha perduta, e talvolta per colpa nostra. Ospitalità con il perseguitato, con il disoccupato. Ospitalità con le culture diverse. Ospitalità con il peccatore, perché ognuno di noi lo è”.
L’ombrello rosso Lui era un giovane studioso e serio, lei una ragazza bella e saggia. E si amavano. Prima di partire per il servizio militare, lui volle farle un regalo. Acquistò un enorme ombrello di un bel rosso vivo. Sotto quel grande ombrello rosso i due ragazzi si diedero il primo addio, si scambiarono la promessa di amore eterno, decisero di sposarsi. Nella nuova casa, l’ombrello finì in uno sgabuzzino. Passarono gli anni, arrivarono due figli, le preoccupazioni, qualche tensione di troppo, la noia, i silenzi troppo lunghi. Una sera, seduti sul divano, lui e lei sbadigliavano davanti alla tv. Lei improvvisamente si alzò, corse nello sgabuzzino e dopo un po’ tornò con l’ombrello rosso. Lo spalancò e una nuvoletta di polvere si sparse nell’aria. Poi si sedette sul divano con l’ombrello rosso spalancato. Dopo un lungo istante, lui si accoccolò accanto a lei sotto il grande ombrello. Si abbracciarono teneramente. E ritrovarono tutti i sogni smarriti sotto la polvere dei giorni.
Non dimenticate l’ombrello rosso.
Fratelli I fratelli e le sorelle sono i migliori compagni. La loro presenza è un elemento molto favorevole per la crescita del b.no. Attraverso i fratelli, il b.no impara a dividere con altri l’affetto dei genitori e tutto ciò che offre la famiglia, e questo lo aiuta a superare la tendenza egocentrica dell’infanzia e a prepararsi alla vita sociale. Con i fratelli inoltre si stabilisce spesso il primo profondo legame tra pari che esercita uno stimolo notevole verso comportamenti collaborativi. Tuttavia la presenza di un nuovo nato porta il fratello maggiore a reagire, utilizzando uno di questi comportamenti: la regressione, l’opposizione, l’aggressività. La regressione indica il ritorno del b.no a modi di agire più infantili, per dimostrare che anche lui è piccolo e perciò bisognoso delle stesse cure e attenzioni. L’opposizione si esprime sia con manifestazioni più o meno aggressive, oppure con una serie di comportamenti negativi, come un calo del rendimento scolastico. Infine ci può essere addirittura l’aggressione contro il nuovo arrivato.
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Meditazioni per il sostegno spirituale degli operatori scolastici
E’ giusto sacrificarsi per i figli?
In un mondo che non cerca più maestri e spesso rimane indifferente anche ai testimoni, mamma e papà rivelano ai loro cuccioli che cosa sia l’amore, a quali abissali profondità esso può arrivare, facendosi addirittura fatica, sofferenza accettata e donata. Lo sanno bene quei genitori che hanno sperimentato la ribellione di chi non ne può più, le calde lacrime di chi avanza prostrato, il silenzio di chi non ha altre parole se non l’amore per i figli. Si tratta di un amore che giunge al sacrificio. Sacrificarsi per i figli, però, non significa privarsi di qualche cosa e quindi, a motivo di tale privazione, soffrire. Quando è vissuto così, il sacrificio diventa una forma di dipendenza, e lo si fa perchè “si deve”: quanti genitori rinfacciano ai loro figli di essersi sacrificati per loro? Se invece ci si sacrifica motivati da una propria coerenza interiore, da un’esigenza che obbedisce alla propria coscienza, allora il sacrificio diviene espressione del proprio essere, addirittura arricchimento personale. Chi ama non dice: “Mi sacrifico per te”. Semplicemente ama, come un albero che non fruttifica per qualcuno, ma per intima esigenza.
Figli di Dio
Un giorno, un re, per punire suo figlio, lo mandò in esilio in un paese lontano. Il principe soffrì la fame e il freddo, perse la speranza di ottenere il perdono reale.
Passarono gli anni.
Un giorno, il re inviò al figlio un ambasciatore con l’ordine di esaudire tutti i suoi desideri, tutte le sue aspirazioni. L’ambasciatore lo disse al principe, che lo guardò stupito e rispose soltanto: «Dammi un pezzo di pane e un cappotto caldo». Aveva completamente dimenticato che era un principe e che poteva ritornare nel palazzo di suo padre a vivere da re.
Non è questa la triste storia di tanti nostri contemporanei che hanno dimenticato di essere Figli di Dio?
Suggerimenti educativi
Chiedere ad un bimbo di non disubbidire mai più è proporgli una meta troppo alta, che può scoraggiare o addirittura generare frustrazioni di fronte all’inevitabile fallimento; viceversa proporgli di impegnarsi ad essere ubbidiente per un giorno, verificando alla sera il suo comportamento, gli consente di porsi un obiettivo realizzabile, una sorta di sfida con se stesso, valutabile insieme all’insegnante o al genitore. Gli educatori possono e a volte devono manifestare la collera: il b.no li percepirà uomini e donne animati da passioni e comunque reattivi di fronte ai suoi comportamenti. Colui che non si inquieta mai, del resto, sembra quasi indifferente. La punizione, perché sia veramente d’aiuto, deve essere inflitta amorevolmente, non per desiderio di vendetta. Prima di giungere al castigo è meglio usare forme di persuasione, di richiamo, di rimprovero. La punizione dovrebbe essere, quando è possibile, coerente con l’errore commesso. Se il b.no ha fatto capricci al campo-giochi, si potrebbe comunicargli: “Visto che non ti sei comportato bene, domani non andremo al campo-giochi”, piuttosto che sbottare: “Per due giorni non guardi più la televisione!”.
Seguire Gesù
Seguimi. Corri dietro a me. Ecco tutto. Camminare dietro a lui è, in fondo, qualcosa senza contenuto. Non è certo un programma di vita, la cui realizzazione possa sembrare ragionevole; non è una meta, un ideale a cui si possa tendere. Non è una cosa per cui, secondo l’opinione degli uomini, valga la pena impegnare qual cosa, e tanto meno se stessi. Ma che accade? Il chiamato abbandona tutto ciò che possiede, non per compiere un atto particolarmente valido, ma semplicemente a causa di questa chiamata, perché altrimenti non potrebbe seguire Gesù. A questo atto in sé non viene dato alcun valore. L’atto in sé resta qualcosa di assolutamente irrilevante, insignificante. Si fa un taglio netto e semplicemente ci si incammina. Si è chiamati fuori e bisogna «venir fuori» dall’esistenza condotta fino a questo giorno; si deve ‘esistere’ nel senso più rigoroso della parola. Il passato resta indietro, lo si lascia completamente.
Preghiera
Signore, aiutami ad essere per tutti un amico,
che attende senza stancarsi,
che accoglie con bontà,
che dà con amore,
che ascolta senza fatica,
che ti ringrazia con gioia.
Un amico che si è sempre certi di trovare
quando se ne ha bisogno.
Aiutami ad essere una presenza sicura,
a cui ci si può rivolgere
quando lo si desidera,
ad offrire un’amicizia riposante,
ad irradiare una pace gioiosa,
la tua pace, o Signore.
Fa’ che sia disponibile e accogliente
soprattutto verso i più deboli e indifesi.
Così senza compiere opere straordinarie,
io potrò aiutare gli altri a sentirti più vicino,
Signore della tenerezza.
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Punizioni e ricompense Se il bambino ha riordinato i giochi nel salotto e lasciato in disordine quelli nella cameretta, possiamo lodarlo e dirgli che abbiamo apprezzato ciò che ha fatto in salotto, chiedendogli poi di riordinare anche la camera. In tal modo abbiamo rinforzato il suo comportamento positivo. Se invece avessimo detto: “Hai riordinato i giochi in salotto, ma guarda che disordine in camera tua!”, avremmo sottolineato il comportamento scorretto, preferendo la frustrazione alla gratificazione. Sull’importanza della gratificazione qualche pedagogista ha coniato la seguente proporzione:
R : P = 5 : 1
dove R sta per ricompensa e P per punizione. Il messaggio è chiaro: per compensare la frustrazione di una punizione occorre la gratificazione di 5 ricompense
Lo spaccapietre Un pellegrino aveva fatto voto di raggiungere un lontano santuario. Lungo la strada incontrò un operaio di una cava di pietra. Polvere e sudore lo rendevano irriconoscibile, negli occhi feriti dalla polvere di pietra si leggeva una fatica terribile. Il suo braccio sembrava una cosa unica con il pesante martello che continuava a sollevare ed abbattere ritmicamente. “Che cosa fai?”, chiese il pellegrino. “Non lo vedi?” rispose l’uomo, sgarbato, senza neanche sollevare il capo. “Mi sto ammazzando di fatica”. Il pellegrino non disse nulla e riprese il cammino. S’imbatté in un altro spaccapietre. Era mortalmente affaticato, come il primo. Aveva anche lui una crosta di polvere e sudore sul volto, ma gli occhi feriti dalle schegge di pietra avevano una strana serenità. “Che cosa fai?”, chiese il pellegrino. “Non lo vedi?”, rispose l’uomo, sorridendo con fierezza. “Sto costruendo una cattedrale”. E con il braccio indicò la valle dove si stava innalzando una grande costruzione, ricca di colonne, di archi e di ardite guglie di pietra grigia, puntate verso il cielo.
Il cristiano è come una pila Il cristiano davanti a Dio non è un privilegiato, un capitalista di Dio: è lui anzi che appartiene a Dio come tutti gli uomini. Non è neppure un capitalista di virtù umane: molti uomini possono essere umanamente più virtuosi di lui. Il cristiano è caricato – caricato nel senso in cui lo si dice di una pila elettrica – di una vita. Questa vita gli è donata da Dio per il mondo, è un dono fatto da Dio al mondo attraverso lui. Ogni cristiano vive la propria fede là dove è oggi, per gli uomini di tutti i tempi, di tutte le classi sociali, di tutte le razze, di tutte le nazioni, di tutte le convinzioni.
Il figlio espressione d’amore La vita dei genitori non è il paradiso in terra, l’amore non è eterno innamoramento. La coppia è per sua natura in perenne adattamento, instabile, a volte in conflitto. La ricerca di un equilibrio, mai definitivo, mai completamente raggiunto tra comunione e differenza, tra amare e lasciarsi amare, tra ideale e possibile, tra novità e quotidianità, tra rischio e prudenza, tra piacere e impegno, tra libertà e dovere, tra razionalità e tenerezza, è la condizione per procedere insieme verso la vetta della vita. Se due fili in cui scorre la corrente si toccano, avviene un corto circuito; se l’acqua di un fiume in piena viene fermata, rompe gli argini e provoca distruzione. Così l’amore reciproco nella coppia non può rimanere chiuso, essere costretto. Deve far luce intorno, esplodere la sua potenza, farsi vita e dono. L’amore di coppia, allora, è fecondo: si allarga e si arricchisce continuamente, nell’ospitalità, nell’accoglienza, nella solidarietà. Il figlio è l’espressione piena di questo amore.
La paura La catechista interroga i suoi bambini sulla preghiera.
“Vediamo: tu reciti le preghiere alla sera?”.
“Certo”.
“E anche al mattino?”.
“No!”.
“Perché?”.
“Di giorno non ho mica paura”.
Spesso è solo la paura che ci fa pregare. Che umiliazione per noi e soprattutto per Dio!
La preghiera è la semplicità dell’amore che parla.
Preghiera che fa sorgere il sole, preghiera che batte sul muro, qualunque sia il codice, preghiera che sa che dall’altra parte qualcuno ascolta.
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